mercoledì 30 giugno 2010

L'Enit diventa spa a controllo pubblico da gennaio 2011

Chapeau!
Enit, Ente nazionale del Turismo nato nel 1919 per promuovere l’immagine turistica nazionale; Ice, Istituto per il commercio estero dotato di 116 uffici in 88 Paesi; la Fondazione Valore Italia, Agenzia di credito dell’esportazione; Finest, che cura i rapporti commerciali con l’Est; Simest, SpA per le imprese all’estero; Informest, Agenzia per lo sviluppo e la cooperazione internazionale e Buonitalia, società per la promozione dell’agroalimentare italiano, verrebbero accorpate dal primo gennaio 2011 in un’unica SpA soggetta al controllo della Farnesina o, in alternativa, dello Sviluppo Economico guidato ad interim dallo stesso presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Ari chapeau e che dire; era l’ora.
E’ dai tempi della Berta, quella che filava, che si parla di S.p.A., accorpamenti, accordi per la gestione delle sedi periferiche nei Paesi esteri e addirittura di joint venture con i privati in sede locale.
Risultato?
Tutto quello dentro le seguenti parentesi tonde ( ); niente, nulla, nisba; forse non conveniva a nessuno di quelli lì a quei tempi là.
E se l’Ice, con altre, qualche buon risultato l’ha dato, dell’Enit è meglio non parlare; dicono che i frutti devono ancora maturare, mentre l’unica cosa che non è rimasta “acerba”, sono i costi di gestione dell’ente, e che han “fruttato” ben poco.
Comunque ed in pratica si parla di una SpA nuova di zecca a gestione pubblica ed in mano al governo, destinata ad assorbire i sette enti che a vario titolo curano i rapporti commerciali internazionali dell’Italia. Una megastruttura partecipata anche da imprese private che taglierebbe molte poltrone dei vari consigli di amministrazione e si potrebbe chiamare, con molta probabilità, Italia Internazionale.
La fusione di queste sigle, nel disegno dei promotori, comporterebbe un risparmio pari al 40%.
Personalmente ho qualche dubbio sulla scelta di permetterne il controllo alla Farnesina; le mie esperienze con questo dicastero, non mi fanno di certo pensare granché bene.
Mentre, recenti ministri congedati a parte, sono convinto che rientri più sotto l’onere dello Sviluppo Economico.
Il meglio sarebbe il Turismo ma, con la Brambilla di mezzo, si trasformerebbe in una grande reclame del proprio partito; tante belle parole al proprio indirizzo, ma fatti ….
Vabbè, resta un bel passo avanti e anche se è da trent’anni che lo vado dicendo … meglio tardi che Matteo Marzotto o Paolo Rubini, sempre che non si pensi a un bel generale carrozzone ... ma no, cosa dico!

lunedì 28 giugno 2010

Manca un Capo ... quello della corda

Se una corda ha un capo, secondo una qualsiasi umana logica, ne dovrebbe avere anche un altro, o coda qual si voglia.
E anche se ci metti dei nodi.
Ma delle iniziative turistiche della ministra Brambilla, non sempre ma spesso, di “capo o coda” ne vedi uno solo; ti puoi dannare l’anima a più non posso, ma al massimo, anche se segui passo a passo l’intreccio dei fili, non vedi altro che nodi.
E questa è l’ultima, per oggi … poi di sicuro ne seguiranno dell’altre; tanto per aver sempre qualcosa da fare nel nostro tempo libero.

Comunque si era al 15 di luglio del 2009 e Bertolaso leggendo la Gazzetta ufficiale scopre che la Brambilla, con uno strumento eccezionale usato solo per calamità o grandi eventi, definisce 12 contratti a termine con i soldi occorrenti per il ripristino delle zone terremotate
Il braccio destro del ministro del turismo, Carlo Modica de Mohac, veniva nominato commissario delegato, con una maggiorazione di stipendio del 25 per cento mentre lo stesso benefit viene erogato per tutti i dirigenti della Brambilla coinvolti.
In più l'ufficio, per rilanciare il turismo in Abruzzo avrebbe assunto quattro consulenti giuridici con un'indennità di 30 mila euro l'anno.
Il decreto parla anche di campagne pubblicitarie, scritturazione di registi e attori, appalti per mostre e concerti.
Bertolaso finisce di leggere, chiama Berlusconi, e il decreto viene abrogato, risultando il decreto con minor vita al mondo.
Passano solo 15 giorni ed ecco apparire sulla Gazzetta Ufficiale quanto segue:
Al fine di valorizzare l'immagine dell'Italia ed incrementare i flussi turistici attesi in coincidenza delle celebrazioni organizzate per il centocinquantenario dell'Unita' d'Italia e per l'Expo 2015 nella città di Milano, il Capo di Gabinetto del Ministro per il turismo, Carlo Modica de Mohac) e' nominato Commissario delegato per l'attuazione di quanto previsto dalla presente ordinanza.
Di seguito si legge la stessa maggiorazione di stipendio e tutto il resto con annessi e connessi, mentre in fondo si legge: “Gli oneri alle iniziative poste in essere ai sensi della presente ordinanza, valutati per l'anno 2009 in euro 3.000.000,00, gravano sugli ordinari stanziamenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri.”
Beh però, non ha perso certo del tempo la “rossa” di Calolziocorte per riprendersi una bella rivincita col Bertolaso, o chissà per quale altro scopo.
E pensare che alcuni mesi prima (19 febbraio) la ministra Brambilla, allora ancora sottosegretario con delega al turismo, in una occasione a Rho-Pero (Bit 2009), ad una domanda di un suo eventuale interessamento riguardo all’Expo 2015, rispondeva che necessitava dell’esigenza di un più approfondito studio per esaminare l’indispensabilità d’esserne fautore e coordinatrice.
A suo tempo rimasi sbigottito di questa dichiarazione, perché è indubbio che un sottosegretario al turismo debba “obbligatoriamente” interessarsi delle eventuali disamine di un evento di quelle dimensioni, ma leggo che adesso ha deciso per il “si”, incaricando dei sottoposti per valorizzare l’immagine Italia, e portandosi appresso dei bei soldini .....e che per quanto riguarda l’Expo 2015, io non ho trovato neanche una traccia.
Che mi sia perso qualcosa?
Bah, comunque a questo punto mi aspettavo l’intervento dell’Enit, con il presidente Matteo Marzotto e il direttore generale di fresca nomina, Paolo Rubini, che avrebbero potuto far vedere le loro qualità.
Quelle qualità da molte parti menzionate (le loro) ma di cui, anche in questo caso, forse mi sono perso il di più.
E invece no, li ci va il Carlo Modica de Mohac con quattro consulenti giuridici da scegliere fra magistrati ordinari, amministrativi, contabili, avvocati dello Stato, ovvero dirigenti di prima e seconda fascia in servizio presso la Presidenza del Consiglio … ma qualcuno che sappia di turismo o marketing ….nisba.
No, perchè quelli del "mestiere" verranno incaricati dopo seguendo un'attenta disamina della meritocrazia ... la loro.
E mentre i risultati si vedono ... che sia questo il capo della corda, o il solito nodo ?

sabato 26 giugno 2010

L'ha detto Stefano Zappalà! Ah bhè, si bhè...l'ha detto chi?


Giuseppe Prezzolini, già nei primi anni del secolo scorso, divideva i vincenti in due categorie: quelli che sanno (i fessi) e quelli che riescono senza sapere (i furbi).
E ben cinque secoli prima, il filosofo inglese Francis Bacon, sosteneva che niente provoca più danni in uno Stato del fatto che i furbi passino per saggi.
Ora non so quanto c’entri in quello che andrò a raccontare, ma penso che ognuno di voi che mi legge, possa tranquillamente pensare la sua … ma mai dirla, per carità.
“Vorrei realizzare una scuola di alta formazione sul turismo dove potranno essere formati giovani ed avere un titolo valido anche per confrontarsi in realtà internazionali”. Lo ha detto l’assessore al Turismo della Regione Lazio Stefano Zappalà a margine del convegno su turismo ed ambiente promosso da Arpa Lazio. “La possibilità di creare una scuola – ha aggiunto – è prevista dalla legge 13 del 2007, eppure non è stata mai attuata. Nella ristrutturazione del settore conto di separare la formazione sul turismo da quella in generale, perché non tutti sanno come ci si deve comportare con il turista. C’è bisogno di una cultura dell’accoglienza. Spero di riuscire a far partire la scuola di alta formazione in autunno. Coinvolgerò anche Arpa Lazio per organizzare corsi su temi ambientali. Riguardo le sedi, penso a quelle già a disposizione della Regione per le scuole di formazione, anche se sono in trattativa per avere l’hotel Sabaudia al Lago”.

L’Hotel Sabaudia al Lago … ma guarda un po’, mica roba da poco, ma vedremo più avanti nel tempo, in quale formula di gestione ed eventuale ristrutturazione per accoglierne il didattico.
E chissà se ci sarà da spendere qualche soldino di quelle povere casse fin troppo martoriate.
Un momento, spendere per produrre qualità è giusto, molto giusto, ma se è vero che non stazioniamo nelle prime posizioni in qualsiasi elencazione da parte delle associazioni mondiali preposte alla misurazione del valore turistico scolastico; chi ci andrà ad insegnare in quel bel nuovo "Zappalà" istituto, e chi sarà il suo Preside o il suo Magnifico?
Forse uno o più, di quella stessa armata di “professoroni”, che indirettamente il Zappalà definisce come non all’altezza dell'attuale qualità nel turismo mondiale, e di conseguenza una miriade di scolari che sono, ad onor della logica, usciti impreparati, visto che ne vuole fare un'altra d'elite.
Personalmente, per quello che può contare, ne ho ben poca fiducia e sono altresì certo che vedremo le solite cariatidi che da "millenni" s'aggirano nell'ambito, oppure e "forse" qualche "figlio o prodotto" di questi, mentre la qualità ricercata, andrà anche questa volta a farsi friggere.
Inoltre non si capisce a che servano gli istituti esistenti, o perché non migliorarli, se così bene non vanno.
Comunque vediamo quello che nel Lazio c’è già:

a) n° 26 Istituti Professionale per i Servizi Alberghieri e Ristorazione
b) n° 32 Istituti Professionale per i Servizi Commerciali e Turistici
c) n° 7 Istituti Tecnico per il Turismo
d) n° 2 Istituto Professionale per i Servizi Turistici

Che proprio pochini non sono.
Ma non è finita, perché alle precedenti vanno sommate le migliaia di Master, Corsi Universitari e chi più ne ha più ne metta.
Beh, sono sicuramente un fautore di questo pensiero, visto che da più di trent’anni vado dicendo che le nostre scuole professionali e Università (parlo del turismo, il resto non so) fanno …, vabbè, avete capito.
Quindi che dire di “quelli”, che da lì sono usciti, e che adesso dirigono o gestiscono il prodotto italiano?
Zitti che è meglio.
A meno che non ci siano altri interessi o che si debba sistemare qualcuno, a mo di “una vecchia storia italiana”; vedremo.

P.S.: Stefano Zappalà è laureato in Scienze strategiche, Scienze matematiche e in Ingegneria civile, è stato in un recente passato il sindaco dimissionato del comune di Pomezia, a seguito di una discussa gestione poi commissariata.
Alcuni dati sul web riportano che si è congedato con il grado di Tenente Colonnello dell’Arma dei Carabinieri, mentre da parlamentare in Europa si è occupato della libertà civile, la giustizia e gli affari interni; membro della Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori; della Delegazione per le relazioni con il Consiglio legislativo palestinese; della Delegazione alle commissioni di cooperazione parlamentare UE-Kazakistan, UE-Kirghizistan e UE-Uzbekistan e per le relazioni con il Tagikistan, il Turkmenistan e la Mongolia.
Di turismo non ho trovato niente, ma per un giovane che si affaccia alla ribalta non è un grande problema.
Ah dimenticavo, che fra poco più di sei (6) mesi avrà 70anni.
Ma per piacere.
P.S.: Attendo commenti da parte di coloro che, in un recente passato, avevano scritto ai neo-eletti Presidenti di Regione per invogliarli ad eleggere gli Assessori al Turismo con giusta ragione di causa, attenzione, e magari, meritocrazia nel settore.
Ma per piacere.

Pliiiz ari-visit Itali (www.italia.it)


Chissà se la Guardia Antisprechi della Brambilla, farà fino in fondo il proprio dovere, e vale a dire…
… che secondo la ministra, proprio chi vive in un territorio sa riconoscere meglio di tutti dove si sta sbagliando.
Ci troviamo in un momento particolare, dichiarava pochi giorni fa la “rossa” di Calolziocorte: “il ministro Tremonti sta mettendo a punto una manovra dei conti pubblici che dovrebbe evitare all'Italia attacchi dei mercati.
Ed esiste, come è noto a tutti, un problema di spesa pubblica improduttiva.
Ecco, noi abbiamo chiesto ai nostri di attivarsi ed individuare le realtà cittadine dove esiste questo tipo di problemi".
Il compito, dunque, da oggi sarà anche quello di andare a caccia di sprechi.
Saranno una sorta di sentinelle sul territorio, pronte a segnalare ogni tipo di spreco pubblico.
Penso anche all'istituzione di un comitato di esperti che provvedano poi a fornire soluzioni da applicare per sanare i difetti di gestione riscontrati …”.

Io non ho dubbi, neanche il più piccolo, perché questo nuovo comitato non farà una benemerita mazza per gli eventuali “errorini” della Sciura Brambilla; ovvio l'ha creato lei.
Se non quello di darle delle informazioni (utilizzabili a livello politico) che poi presumibilmente rimarranno in qualche cassetto.
Comunque non è di questo che vi voglio parlare ma della "presunta cattiva" informazione che si legge in giro.
Come ad esempio leggendo il Eduardo Di Blasi che sul Fatto scrive così:
Il budget per il ministero del Turismo inizialmente era stato fissato a 642.960 euro. Ha speso 15,5miloni di euro. Tra questi 8,6 per il portale italia.it.
È l’anno del turismo. Almeno per la Presidenza del Consiglio dei ministri che, nei mesi della crisi finanziaria internazionale, ha deciso l’8 maggio 2009 di creare un ministero ad hoc, farlo gestire a Michela Vittoria Brambilla, e rivedere le proprie previsioni di spesa: dagli iniziali 642.960 euro fissati con Tremonti, ai 15 milioni e mezzo finali, con un aumento di 14.892.052. Un vero e proprio successo per un ministro “senza portafoglio”. Tra le voci più interessanti per il solo “funzionamento” ci sono i 378.360 euro spesi per il solo trasporto in Italia e all’estero del ministro e dei responsabili del dicastero da maggio a dicembre (già più di metà del budget iniziale complessivo, e quattro volte gli 88.360 euro previsti), i 3 milioni di euro per “iniziative di rilancio dell’immagine dell’Italia” e i 2 milioni e 900mila susseguenti per la “struttura di missione per il rilancio dell’immagine dell’Italia”. A questi si aggiungono i 75mila euro per il funzionamento “della segreteria permanente del comitato mondiale per l’etica del turismo”, i 72.652,93 euro per uffici e interpreti, i 22mila euro per le “spese di rappresentanza” e gli 85mila per “esperti e incarichi speciali, ivi comprese le indennità e il rimborso spese di trasporto”.

La cifra maggiore, però, parliamo di 8 milioni e 600mila euro, è quella pagata per la resurrezione del sito www.italia.it, portale del Turismo, già inaugurato da Lucio Stanca con un investimento faraonico di 45 milioni di euro, e immediata pioggia di polemiche, e chiuso l’anno seguente da Francesco Rutelli (all’epoca ministro ai Beni Culturali), che pure aveva provato a rilanciarlo da par suo, per l’evidente scarso rapporto tra costo e benefici. La nuova e dispendiosa vita di italia.it, portale che la rete non ama, collocandolo al posto 4562 del rank italiano e al 184.594 di quello internazionale, ben al di sotto dei portali turistici degli altri paesi e anche, sia detto, del sito www.enit.it, non sembra giustificarsi con il proprio contenuto. Anche perchè le quattro informazioni “turistiche” che fornisce si limitano a un “cosa vedere”, “cosa fare” e “cosa assaggiare”, senza dar conto, ad esempio, di “dove dormire” (sul sito dell’Enit ovviamente presente). A volte, inoltre, l’informazione si limita a qualcosa di meno che una cartolina. Imbarazzante, ad esempio, la voce dedicata allo “shopping in Italia”: dopo aver segnalato la presenza di via Condotti a Roma e via Montenapoleone a Milano, afferma, sprezzante del ridicolo “andare a fare shopping in Italia non significa soltanto negozi e boutique: esistono più di 3700 outlet e spacci aziendali”. E il sottotesto è: andateveli a cercare. Oltre al sito “fratello” dell’Enit (decisamente meglio costruito) , d’altronde, italia.it può contare anche su innumerevoli portali messi su da regioni, enti locali ed enti per il turismo territoriali. Il risultato è una inutile somma di informazioni che spesso non dialogano nemmeno tra loro. In fondo, però, non di soli siti internet si vive. Perché, se 15 milioni è la spesa per il solo funzionamento del dicastero, la spesa complessiva del ministero del Turismo quest’anno è costata alle casse dello Stato 189.611.361,56 euro, con una variazione complessiva rispetto alle previsioni di circa 113 milioni di euro.

La sproporzione dei conti è dovuta essenzialmente all’assistenza che il ministero ha dovuto dare a un settore che quest’anno ha dovuto fare i conti con la crisi. Oltre alla cifra fissa data all’Eni t (33.556.000 diventati 33.838.624), ci sono i 5.115.198 investiti per l’erogazione dei “buoni vacanze” e i 118 milioni investiti per “l’incentivazione dell’adeguamento dell’offerta delle imprese turistico-ricettive e della promozione di forme di turismo ecocompatibile”. La cifra prevista all’inizio per questo investimento in conto capitale era di 26.900.279 euro. Alla fine c’è stata una “leggera” variazione di 91.164.777 euro. Nel decreto di istituzione di questi fondi, si pensava al turismo montano, al turismo in bicicletta e al turismo legato all’attività sportiva e ricreativa del golf. Che si sia speso un po’ troppo e per ottenere che cosa?

Alcune considerazioni sono giuste, mentre le vere informazioni sono QUI' e più precise dell'articolo che avete appena letto.
Il resto nei commenti del post ... e credo che questo non sia un buon giornalismo, ma solo qualcos'altro di non ben definito ... diciamo un sparare nel mucchio, e solo "forse" per via delle idee politiche avverse.
Non è così che si fa.

venerdì 25 giugno 2010

Calcio e turismo, completa débâcle ?

L’Italia è fuori dal Campionato del mondo.
Spiace, che cavolo, mi rattrista e deprime un mucchio, anche perché avendo giocato a pallone in gioventù a buoni livelli ("riserva" serie C di quei tempi) … macchemmenefrega se siamo fuori dalla Rimet o come diavolo si chiama adesso.
Non c’è quotidiano che non riporti la debacle azzurra con pianti e piagnistei, mugugni e disperazione o addirittura con 11 bare in prima pagina (Il Giornale) col “centrale” (Campioni dell’altro mondo).
E giù a rincorrere ricordi calcistici a noi infausti; Corea Nord del ’66, dove il “dentista centravanti” Pak doo ik ci limò ben bene i "canini", oppure la Svezia nel ’50 o la Svizzera quattr’anni dopo; il Cile nel ’62, fino alla Polonia nel ’74.
Adesso ben tre nazioni c’han fatto del male (nel turismo, tutti); Paraguay, Nuova Zelanda e Slovacchia; non l’elite, ma poco di più che niente .. nel calcio, s’intende.
Ci hanno fatto fessi, nell’ultima partita, addirittura con una doppietta (non di quelle della caccia, antipatiche alla Brambilla), ma due bombarde di un perticone che gioca in Turchia con l’Ankaragulu, una squadra che sembra più il nome di una pernacchia, che una di calcio.
Beh, che c’entra la vecchia Rimet o la Coppa Fifa (l’ho trovata) con un blog sul turismo?
C’entra, eccome se c’entra; sono trent’anni e più che i “professionisti” di questo settore, pur disponendo del “parco” migliore del mondo, non ne vincono una; anzi, neanche un pareggio; almeno nel calcio qualcosa di buono in passato s’è visto e c'è stato.
In questa bella nazione dove chi viene messo nel turismo ai posti di “comando”, in sostituzione alle cariatidi del tempo per fortuna passato, non sa comandare o che diavolo fare.
Elenca due numeri che gli passa qualcuno che armeggia con i conti e ripete all’infinito le responsabilità o le colpe degli altri.
Ma dichiarano che da quando ci sono loro, le statistiche e i dati, nonostante la o le crisi, sono sempre positivi.
O che il loro operato ha fatto si, che si sentisse di meno.
Sarà, ma gli altri Paesi corrono sempre più forte di noi, mentre i risultati, quelli veritieri, dicono che c’hanno eliminato o lo stanno facendo.
E non si vogliono accorgere delle crepe, evidenti, profonde di trent’anni senza una sola vittoria; hanno anteposto la loro presunzione e la loro testardaggine alla realtà tecnica anche avara del nostro turismo; non hanno voluto intervenire drasticamente e hanno preferito rattoppare con mezze figure, precettando soldatini ubbidienti o "convenienze politiche".
Hanno bocciato, senza nemmeno provarli, i pochi talenti, anche giovani, del nostro turismo, e hanno scelto la “riconoscenza” in alcuni che … vabbè, avete capito.
E così anche quest’anno, in quello ennesimo della "loro" riscossa e del “vedrete che andrà tutto bene”, ... così bene poi non andrà.
E non è questione di vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto; qui non c’è neanche il bicchiere.

P.S.: Ho solo cambiato, qui e là, la parola “calcio” in quella “turismo” in un articolo giornalistico dopo la sconfitta per 3 a 2 con la Slovacchia, ma come vedete il prodotto non cambia; una totale debacle italiana.
E nel calcio eravamo Campioni del Mondo … proprio come nel turismo; quello di 30 e più anni fa.

mercoledì 23 giugno 2010

Che "palle" quelle da Golf






Ma un ministro del Turismo che cosa deve fare se non promuovere il turismo invogliando le persone, specialmente quelle che hanno molti soldi da spendere, a venire nel nostro Paese? I giocatori di golf sono tra questi. Michela Vittoria Brambilla ha quindi annunciato un ddl per sostenere la nascita di nuovi campi da golf.
La sinistra insorge: “Scandalo!”, ha gridato la Finocchiaro. In tempi di magra, di crisi, di disoccupazione, di cassaintegrati, non si può parlare di promozione del golf, lo sport degli snob, delle élites, di quelli con la puzza sotto il naso, perché è un insulto ai disoccupati, ai cassaintegrati, ecc. E la Rossa del governo Berlusconi viene disegnata come una Maria Antonietta che manda a mangiare le brioches, invece di dare pane ai poveri.
La Brambilla, però, non ha parlato di soldi pubblici: ha parlato di un provvedimento che sostenga la nascita di nuovi circoli, strutture private, costruite da privati, progettate da privati. La formula dovrebbe essere la stessa che viene concessa ai grandi costruttori che si avventurano in mega condomini: la Regione dà il permesso di costruire, a patto che la struttura sia ecologica e a patto che la società progetti e realizzi un asilo, una scuola, un parco che regalerà poi al Comune. Perché non replicare la stessa cosa?
C’è chi dice, per fare un esempio, che i campi da golf portano via acqua all’agricoltura. La Sicilia, quindi, sarebbe l’ultimo posto dove costruire un circolo, ma se si prova a capovolgere il ragionamento, si potrebbe ipotizzare anche il contrario: costruire un campo da golf in una zona che soffre di mancanza di acqua potrebbe costringere chi realizza il campo a portare le strutture necessarie per abbeverare i campi e la popolazione locale. Non è un modo per dare da bere ai poveri?
Ma il nostro paese non investe, resta fermo: a differenza, per esempio, della penisola Iberica. In Italia ci sono 282 campi da golf, per una popolazione di 60 milioni di abitanti. La Spagna ha puntato molto su questo settore, infatti ci sono 313 strutture, per meno di 50 milioni di abitanti: un motivo ci sarà. Un golfista è molto esigente e spende da 3 a 5 volte di più di un turista normale. Lo dice José Pablo Vasquez, direttore generale di Go and Golf, tour operator specializzato nel settore.
Metà degli spostamenti di chi viaggia per golf sono al di fuori dei periodi di alta stagione. Quindi il golf crea flussi di clienti in periodi in cui la domanda è minore. In un momento in cui nel settore del turismo la durata del viaggio si riduce, il giocatore di golf, invece, si ferma per un periodo più lungo, perché ha più soldi da spendere e perché vuole giocare su campi diversi dello stesso paese e magari visitarne le bellezze. Un giocatore, inoltre, si aspetta un alto livello di offerta culturale e gastronomica. Il nostro paese è ricco di monti, mare, laghi, fiumi, bellezze naturali e non, ma non ha risorse del sottosuolo, si regge sulla piccola e media impresa e il turismo è un settore che viene poco sfruttato e spesso bistrattato. Il golf porta soldi, perché attrae turisti che hanno soldi da spendere. Il golf porta belle strutture, ricche, è un volano che fa partire il settore edile, il made in Italy dell’arredamento e del design, mette in mostra il nostro Paese. Un bel campo da golf fa guadagnare tutti.
E poi, chi ha sdoganato questo gioco – a scanso di equivoci – è stata l’allora ministro dello Sport Giovanna Melandri, che ha liberalizzato l’accesso al gioco. Un tempo, infatti, per poter cominciare a giocare ci si doveva per forza iscrivere ad un circolo. Oggi, basta prendere la tessera federale del valore di 75 euro l’anno e si può entrare ovunque, in Italia e nel mondo. Si spera che i golfisti italiani non vadano a giocare in Spagna.
Da Elettra in Prima Pagina di “The Front Page”

martedì 22 giugno 2010

Tassa turistica a Roma?

E alla fine è andata così!
Pagheranno al massimo 5 euro al giorno per non oltre tre pernottamenti i turisti che sceglieranno Roma.
In pratica, la tassa di soggiorno nell'ipotesi prevista dal Campidoglio, prevede un contributo per tutti coloro che trascorreranno a Roma da una a tre notti nelle strutture ricettive: 1 euro al giorno nei campeggi, negli agriturismo, nel Bed & Breakfast, negli hotel a una stella; 2 euro per gli affittacamere, per le case per le ferie, per i residence e per gli alberghi a tre stelle.
Si arriverà a pagare tre euro negli hotel a quattro stelle e 5 per le categorie extralusso.
Secondo le stime del Campidoglio, qualora venisse introdotta la tassa di soggiorno porterebbe ad un introito di 79.175.413 euro.
Però i nostri conti non sono così ma leggermente più alti, comunque c’è da dire che nessuno dei “conoscitori” del turismo nazionale l’aveva predetto o calcolato, lasciandoci invece andare a tutt’altre considerazioni o a eclatanti avversi proclami.
Ma non “Tutto sbagliato tutto da rifare”, si, questo semplicissimo blog, che non appena veniva annunciata la tassa di 10 euro a prs. così dichiarava: “e sicuramente, alla fine, ci si orienterà su una tassazione che varierà dai 1,00/1,50 ai 5 euro; basta fare due conti con quello che richiede Tremonti …”.
Mah, sarà merito della mia calcolatrice o della voglia di fare due conti, o forse sarà che nelle problematiche ci mettiamo il cervello; in ogni caso sarà quel che sarà.
Non è certo dei nostri meriti che voglio parlare anche se a onor del vero, e scusateci, c’abbiamo sempre azzeccato.
In alternativa Alemanno pensa a misure per cui serve una legge statale o un emendamento che prevedano la cessione del 2% dell'iva del settore turistico a Roma e l'aumento di 1 euro per tutti i musei comunali e statali.
Ciò porterebbe ad un introito, rispettivamente, di 110 milioni di euro e di 8,6 milioni di euro ed eviterebbe l'introduzione della tassa sul turismo.
Beh, allora ne diamo un’altra … di possibilità, sempre che non si voglia, perchè già programmata, sommare alla tassa turistica, e vale a dire:
L’introduzione dell’Ecopass a Milano a partire dal 2 gennaio di quest’anno ha rilanciato anche in Italia il dibattito sull’utilità dei pedaggi urbani per ridurre il traffico eccessivo e contenere le emissioni nocive.
Il bilancio di Milano ad un mese dall’avvio del progetto mette in luce i principali aspetti positivi legati a questo tipo di strumento regolativo : riduzione dei veicoli circolanti in città (- 24,5%), del traffico complessivo (-12,5), delle emissioni di Pm10 (-30%) e aumento di 23.500 passeggeri sulle linee di metropolitana in appena trenta giorni rappresentano risultati sbalorditivi che lasciano intravedere dei progressi ben superiori alle aspettative.
Tali dati non tengono in conto pero’ delle problematicità legate all’introduzione di questo sistema che ha costretto molti cittadini a correggere le proprie abitudini in tema di mobilità non riuscendo pero’ sempre a garantire un miglioramento della qualità della vita. Confrontando l’esperienza di Milano con quella di altre grandi città europee, come Londra, Stoccolma e Manchester, che già da tempo hanno adottato dispositivi simili o stanno per farlo è possibile ravvisare i punti di forza e le criticità di tali sistemi, soprattutto in vista della loro possibile adozione anche da parte di altri grandi città italiane (Roma, Firenze e Torino in particolare).
Il successo del pedaggio urbano a Stoccolma
Già a partire dal 2006, in accordo con il governo svedese, l’amministrazione comunale di Stoccolma ha introdotto una tassa sulla congestione del traffico, instaurando un sistema di pedaggio simile a quelli già in uso a Londra, Singapore, Santiago, Toronto e Oslo. In collaborazione con la IBM, è stato realizzato un piano di rilevazione che prevede l'addebito dei pedaggi al momento del passaggio dei veicoli attraverso diciotto punti di controllo collocati ai margini delle strade, sulle vie d'ingresso o di uscita dal centro di Stoccolma durante i giorni feriali e le ore di punta. Il sistema utilizza le tecnologie laser, fotografica e di sistema, per rilevare e identificare i veicoli e per addebitare i pedaggi a tariffe diverse a seconda dell’ora del giorno (con punte massime dalle 7:30 alle 8:29 e dalle 16:00 alle 17:29, con un importo massimo giornaliero per veicolo di 60 corone svedesi, circa 6 euro).
Per progettare e attivare questi dispositivi l’amministrazione di Stoccolma ha ingaggiato alcuni tra i migliori mobility planner del paese che hanno condotto diverse valutazioni utili ad individuare gli obiettivi e gli effetti sulla vivibilità della città.
Dopo un primo periodo di prova tra il 3 gennaio e il 31 luglio 2006 ed un referendum popolare che ha approvato definitivamente il progetto pserimentale il 17 settembre 2006, l’iniziativa è ripartita con successo dal 1 agosto 2007, contribuendo in maniera decisiva alla riduzione del traffico (meno 10-15% nel centro città) e delle emissioni (meno 10- 14% in centro), ad una migliore qualità dell’ambiente e ad una migliore accessibilità dei mezzi pubblici.
L’applicazione di questi sofisticati dispositivi di controllo ha portato ad un miglioramento della percezione degli spazi urbani, che si accompagna ad un consenso crescente verso l’iniziativa : se all’annuncio del progetto nel 2005 il 75% dei cittadini si dichiarava contrario, già a metà 2007 i favorevoli al progetto erano il 67% degli abitanti. Gli effetti positivi sul traffico hanno superato ogni aspettativa, consentendo cosi’ ai cittadini di accorgersi da soli dei benefici delle misure di riduzione del traffico. Anche i commercianti al dettaglio del centro della città hanno riscontrato un aumento delle vendite del sei per cento mentre la locale azienda di mobilità ha modificato gli orari del trasporto pubblico a causa della maggiore velocità delle corse, dovuta alla riduzione della congestione del traffico.
L’esperienza di Manchester
Forti proteste hanno invece accompagnato la proposta di introdurre il sistema di pedaggio urbano a Manchester, che si accompagna ad un investimento di tre miliardi di sterline per migliorare il trasporto pubblico con nuovi bus ed un servizio di treno metropolitano più efficiente. L’intelligente strutturazione delle fasce di pagamento (7-9:30 e 16-18:30) e l’inserimento della gratuità dell’ingresso in serata e nei weekend ha contributo ad attutire le proteste dell’opinione pubblica, a cui sono state rivolte campagne di comunicazione a seconda delle varie categorie interessate (giovani, lavoratori, anziani) : la corretta spiegazione dei vantaggi previsti ha portato ad un aumento dei favorevoli al progetto al 51% della popolazione ma l’amministrazione della Greater Manchester punta a migliorare ulteriormente questo dato con l’entrata in vigore del servizio.
Benefici e criticità dei sistemi di pedaggio urbano
Gli esempi vincenti di Stoccolma, Londra e Oslo rappresentano ancora una fonte di ispirazione per gli amministratori locali europei ma non solo: negli Stati Uniti il governo federale ha stanziato oltre 130 milioni di dollari per finanziare la realizzazione di analoghi sistemi di pedaggio stradale, per favorire la riduzione della congestione del traffico (come già realizzato in Oregon) .
Altre capitali europee, come Copenaghen, stanno valutando l’introduzione del sistema ma la mancanza di un quadro legislativo nazionale specifico ha finora frenato l’entrata in vigore di tali iniziative. Proprio l’inadeguatezza dei quadri legislativi nazionali costituisce il freno principale all’introduzione di meccanismi capaci di generare entrate sufficienti per completare opere pubbliche cittadine o migliorare i sistemi di trasporto urbano. Basti pensare che in un solo mese il Comune di Milano ha ricavato oltre 2,5 milioni di euro da Ecopass per oltre 130mila attivazioni effettuate.
Altro problema che ha impedito a molte amministrazioni di adottare sistemi cosi’ innovativi è rappresentato dalle proteste dei cittadini e dei pendolari, costretti a pagare salato per potersi recare nelle città ritrovandosi spesso costretti a modificare le proprie abitudini quotidiane per evitare i pedaggi.
Sviluppare efficaci campagne di comunicazione che spingano i cittadini a ridurre l’uso dell’auto e a ricorrere maggiormente ai mezzi pubblici si sono rivelati strumenti utili soprattutto nella fase preparatoria, mentre un buon investimento iniziale nei dispositivi tecnici ha garantito a Stoccolma e a Londra un corretto funzionamento del sistema, limitando i disagi e aumentando il senso di soddisfazione verso l’innovativa e coraggiosa azione amministrativa e una percezione positiva di un ambiente urbano più pulito e vivibile.
Chissà cosa ne pensa Carlo Modica di Mohac, il Capo di Gabinetto del Ministro del Turismo, di questa cosa, e chissà se ci legge ....?
…. comunque se è, buona lettura.

(S.d'A) e me
P.S.: E' inutile dire che altre città italiane copieranno (certamente e checchequalcunonedica) l'attuazione ... magari con altri inserimenti atti solo ed unicamente a tassare i turisti, per incamerare il più possibile.
Non è che abbiamo dei grandi genii in questo settore nel nostro Paese.

sabato 19 giugno 2010

Crack Todomondo e il Fondo di Garanzia

Tempo fa (estate 2009) nel descrivere il caso Todomondo, ossia il Tour Operator che ha lasciato in braghe di tela parecchie migliaia di turisti con degli “intrallazzi” che suonano più come una malandrinata che una cosa ben fatta, la ministra Michela Brambilla ", nel manifestare la sua solidarietà ai turisti danneggiati dal tour operator on line, dichiarò che sarebbe subito stato attivato il Fondo nazionale di garanzia (dove alcuni sostennero non vi sia stato deposto neanche un euro) che ha proprio il compito di intervenire in caso di insolvenza o fallimento del venditore o dell'organizzatore di pacchetti turistici, provvedendo al rimborso delle somme versate per l'acquisto dei pacchetti di viaggio".
E proprio nell’occasione scrissi che per elencare le cose ben fatte dalla Brambilla per il dicastero turistico italiano, ma non solo per questo motivo, sarebbe stato sufficiente un coriandolo.
Ebbene spiace dirlo, ma sbagliavo, c’ho dato della grossa.
Infatti, a tutt’oggi, credo che il solo bordo del sopraddetto sarebbe più che sufficiente, e anche a scrivere largo.
E' però comprensibile che l'impossibilità di "comando", per via del Titolo V della Costituzione, ne abbia limitato le direttive, ma quello finora svolto o fatto lambisce veramente qualsiasi inconsistente produttività.
Ma bando alle mie futili considerazioni, fatto sta che alla soglia dei 323 giorni passati, tutto tace, e quelle migliaia di persone che furono “gabbate” sono ancora in attesa di una risposta.
In poche parole sono ancora ad aspettare non si sa bene che cosa.
Mentre si sa bene che le prossime elezioni avverranno tra circa tre anni e chissà che non spunti la soluzione poco tempo prima di queste accompagnate da eclatanti proclami di salvataggio del maltolto; boh?
A quei tempi, e non ho cambiato idea, scrivevo che non era giusto rimborsare quelli che avevano acquistato alcuni pacchetti Todomondo tramite internet, poiché l’art 712 del Codice Penale che tratta del reato di “incauto acquisto”, e vale a dire quando il compratore acquista o riceve cose che, per la loro qualità o la condizione di chi le offre, o il prezzo, possano far sospettare che provengano da reato.
D’altronde il Fondo di Garanzia non è nato per concedere “lasciapassare” ai truffatori o agli illusi, ma per intervenire in gravi situazioni, cosa che la vicenda Todomondo di certo non è stata.
Ma al di là delle mie considerazioni che possono essere giuste o sbagliate, ognuno la pensa come meglio l’aggrada e ugualmente va rispettato, c’è quella che i preposti al controllo governativo dovevano intervenire molto prima che il fatto potesse accadere … e di segnalazioni dalle associazioni del settore, n’ebbero a iosa.
Però, come quasi sempre accade in queste circostanze e purtroppo non sole, si aspetta che ci sia prima il “morto” o addirittura dei più defraudati (oltre 5.000), prima d’intraprendere le decisioni del caso.
La solita storia italiana è …si, l’orlo di un coriandolo è più che sufficiente.
P.S.: E se al posto del Fondo di Garanzia fossero i "gestori" di Todomondo a dover obbligatoriamente pagare ... e in breve tempo?
Perchè non si è posto, o si pone, l'obbligo assicurativo come accade in altri Paesi; e vale a dire che paghi dopo che hai ricevuto il benestare dell'assicurazione?

venerdì 18 giugno 2010

Catene alberghiere nel mondo (com'era, com'è e come sarà)

Riferiscono i saggi che dal passato si può prevedere il futuro, o almeno gran parte di esso; e io ci credo.
Quindi bando alle ciance e facciamoci un po’ di cultura turistica mondiale, che di certo male non fa.

Catena o cluster ?
Negli Stati Uniti il sistema alberghiero moderno nasce con la realizzazione delle ferrovie transcontinentali che dovevano collegare la costa atlantica con la costa pacifica attraversando l’intero continente superando fiumi, pianure, deserti, montagne oltre a dover fare i conti con le mandrie di milioni di bisonti che caracollavano nel lontano Occidente e i bellicosi nativi americani che li cacciavano (e che non esitavano a scotennare anche i bianchi che invadevano i loro territori).
Ci volevano enormi capitali e un’influenza politica non meno formidabile per poter dar vita a progetti così faraonici.
Ciò avvenne dopo la fine della guerra civile americana (1861-1865).
I tycoon americani, i grandi capitalisti dell’epoca, utilizzarono centinaia di migliaia di cinesi come manodopera, facendoli arrivare dalla Cina per scavare le montagne, colmare le paludi, far brillare le mine, stendere le rotaie, innalzare i ponti in legno, impiegarono invece l’esercito per sterminare i bisonti e i nativi americani.
Le dimensioni dell’opera imponevano anche le dimensioni delle società che le eseguirono e che poi si fecero carico di fornire vitto e alloggio ai passeggeri che trascorrevano anche intere settimane a bordo delle traballanti locomotive a vapore.
Nacquero così sia i servizi di catering a bordo che le catene di alberghi nei posti tappa.
Le dimensioni imposero anche organizzazioni complesse e compatte che fornivano lo stesso servizio e lo stesso cibo che si fosse a New York piuttosto che a Chicago o a New Orleans o a San Francisco.
E’ degli anni Venti del Novecento l’istituzione della facoltà di Hotel & Business Administration e di Food & Business Administration nella Cornell University a Ithaca, nello Stato di New York, a opera di Ellsworth Statler, grande albergatore dell’epoca.
Il suo primo albergo a Buffalo, nel 1907, aveva tutte le camere con servizi.
Tre anni prima, a Firenze, il Grand Hotel Baglioni (il nostro migliore dell’epoca) aveva aperto il suo albergo di gran lusso; anche lui con i servizi …. però al piano.
E la differenza che già si vedeva dette spazio anche per gli indipendenti.
Infatti la Best Western, oggi 4.000 affiliati in 80 Paesi del mondo, nacque dopo la seconda guerra mondiale per opera di un indipendente della costa occidentale che convinse i suoi colleghi a fare rete, come si dice oggi, anche per poter disporre degli ingenti mezzi finanziari di cui disponevano le più importanti catene alberghiere.
Negli Stati Uniti, le opportunità di mercato da un lato e le dimensioni delle aziende dall’altro sono state determinanti in tutte le vicende economiche che hanno caratterizzato la loro 1st position.
Henry Kissinger, l’ex segretario di Stato dell’epoca di Richard Nixon (inizio anni Settanta del Novecento), ha calcolato che nel 1945 gli Usa rappresentassero il 50% del PIL mondiale.
Il mondo era ai loro piedi: ebbero l’abilità di coglierlo.
Da qui l’ascesa e il dominio delle corporation americane diventate gigantesche in patria e multinazionali nel mondo.

La Gran Bretagna ha conosciuto uno sviluppo analogo per molti versi a quello americano grazie alla sua posizione di maggiore potenza navale mondiale ricoperta per 200 anni dalla metà del 1700 fino alla fine della seconda guerra mondiale.
Non a caso la presenza britannica è ancora significativa sia tra le multinazionali del petrolio che tra quelle dell’industria alberghiera.
L’Inghilterra aveva 5 milioni di abitanti all’epoca di Enrico VIII nel 1500, raggiunse gli 80 milioni grazie all’impero che provvide a convogliare in Gran Bretagna le merci necessarie per alimentare una simile popolazione.
Un fenomeno analogo era già avvenuto 17 secoli prima per sfamare il milione di persone che abitava Roma.
Da qui i parallelismi tra sviluppo inglese e sviluppo americano anche nel settore alberghiero.

Il centralismo francese
Fino agli anni Ottanta del Novecento il sistema alberghiero francese era costituito da una forte prevalenza degli imprenditori indipendenti, nel momento in cui il turismo da fenomeno marginale divenne sistema industriale ramificato a livello mondiale, lo Stato che aveva protetto i “piccoli” – Logis de France con i suoi 5000 affiliati era finanziato direttamente dallo Stato – li abbandonò al loro destino liberalizzando il settore (abolizione della schedina di Pubblica sicurezza e introduzione della tecnologia nella valutazione dell’abitabilità delle camere).
Il risultato?
Accor!
E’ l’unica catena alberghiera europea che è stata in grado di competere alla pari con le grandi catene alberghiere internazionali arrivando a superare quota 4.000 unità produttive tra Francia e mondo. Accor è stata l’unica catena alberghiera a segmentare i marchi fin dall’inizio, dal low cost (Formula Uno, Etap, Ibis) alle fasce medie e medio alte (Mercure, Novotel, Sofitel). Oggi ha ben 15 marchi distribuiti in 87 Paesi con 490.000 camere (1414 alberghi in Francia con 129.000 camere).
La Francia, nel mondo alberghiero, è Accor.
Senza dimenticare che i fondatori di Accor crearono anche la più importante catena nella ristorazione francese inventando i ticket restaurant.
In Francia funziona così: lo Stato garantisce l’ordine pubblico, impone le regole del gioco e le fa rispettare, i grandi gruppi industriali e finanziari mettono in campo gli eserciti industriali, mantengono il controllo del mercato interno, sviluppano la presenza francese nel resto del mondo.

Germania, Austria, Svizzera: piccolo è bello
La Germania ha 36.000 alberghi e 900.000 camere.
E’ il primo Paese in Europa per il fatturato turistico prodotto dal mercato interno, il primo Paese in Europa per il fatturato prodotto dai turisti tedeschi che si recano all’estero.
Ciò dipende dal fatto che la Germania è il secondo Paese al mondo per il Prodotto Interno Lordo dopo gli Stati Uniti d’America.
La Germania deve il suo successo industriale alla presenza di importantissime corporation che approfittarono dell’unificazione politica del Paese avvenuta negli anni Sessanta del 1800 e conclusasi con l’annessione da parte della Prussia di circa 150 staterelli nel 1870.
Quello che è rimasto dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale è stato più che sufficiente per far rinascere uno dei Paesi più industrializzati del pianeta.
Nello stesso tempo la Germania (analogamente all’Italia) è il risultato dell’unificazione di Stati accomunati dalla lingua e dalla cultura ma con storie politiche e culturali assai diverse.
La diversità delle tradizioni storiche è ancora ben presente nella diversità degli usi e dei costumi, dei dialetti.
Il turismo esalta le differenze porgendole come elemento di comunicazione, come elemento anche pittoresco che ammalia e affascina l’ospite che vi si riconosce o che al contrario vi si accosta con curiosità.
Si definisce Genius Loci, lo Spirito della terra, ciò che conserva e propone le antiche tradizioni come memoria ed esperienza del passato.
L’Italia deve il suo successo nell’arengo del turismo mondiale proprio a quello che i nostri antenati ci hanno lasciato in eredità non solo come patrimonio storico e archeologico ma anche come diversità dell’ethnos, lo stesso – soprattutto per l’ethnos - vale per Germania, Svizzera, Austria.
In Germania il processo di omologazione centralista iniziato con il Reich prussiano è stato interrotto con la sconfitta della prima guerra mondiale e annullato con la catastrofe della seconda guerra mondiale, che portò sia alla perdita definitiva dei territori orientali che alla divisione della Germania in due Stati, dal 1945 al 1991.
I tedeschi si sono ripresi grazie anche alle loro antiche tradizioni “italiane” basate sull’orgoglio per le patrie locali, ciò che in tedesco viene definito con la parola Heimat e in latino con il termine Genius Loci.
L’Austria che ha perso il suo impero nel 1918, rimanendo solo con la parte montuosa dei dominii asburgici, e la Svizzera dei liberi cantoni di montagna, hanno sviluppato un tessuto turistico basato sulle famiglie e sui cluster territoriali esaltando anch’esse l’aspetto localistico rispetto a quello nazionale.
In Spagna la necessità di recuperare il tempo perduto anche nel settore turistico, ha portato il governo spagnolo a delegare alle catene alberghiere internazionali e ai gruppi industriali interni lo sviluppo rapido e massiccio di un sistema industriale, che ha consentito di scalare le vette del turismo mondiale raggiungendo e superando l’Italia per quanto riguarda i flussi e i fatturati internazionali, anche se dubito che il fatturato complessivo (turismo internazionale più turismo interno) superi quello italiano, che vanta un PIL superiore del 25 per cento rispetto a quello spagnolo.
Il 2009 è stato un anno assai difficile per la Spagna, che ha registrato una crisi economica industriale e dei flussi turistici superiore a quella di tutti gli altri Paesi europei.

Il caso Italia
Il modello spagnolo è ciò che Banca Intesa Sanpaolo sta cercando di imporre anche in Italia.
In precedenza, negli anni Novanta furono gli Agnelli a cercare di importare il modello francese in stretta alleanza con Accor.
Non ci riuscirono.
Altre catene internazionali sbarcarono in Italia con le migliori intenzioni, come l’inglese Trusthouse Forte.
Sir Charles e suo figlio Rocco mentre stavano sviluppando la loro azione in Italia furono scalati in Borsa in Gran Bretagna.
Fu la fine di Trusthouse Forte.
Starwood ha acquisito CIGA Hotels, creata nel 1930 da imprenditori italiani che era già passata di mano finendo in quelle dell’Aga Khan.
Ha venduto il gioiello della corona, il Principe di Savoia di Milano, al sultano del Brunei.
Ha aperto alcuni Four Points (in franchising), null’altro.
InterContinental è presente quasi esclusivamente in franchising. Hilton gestisce due alberghi direttamente (Milano e Roma) e tutti gli altri in franchising.
La spagnola Sol Melià sbarcò con intenzioni bellicose: si è fermata a quattro alberghi. AC Hotels (che fa capo all’ex presidente di NH Hoteles, Antonio Catalàn) è ondivaga, prima cresce, poi decresce.
La tedesca Kempinski era presente con due alberghi, a Mazara del Vallo in Sicilia e a Pragelato in Piemonte; ha già lasciato il secondo.
Steigenberger non sta meglio, ha un solo albergo a Merano.
Marriott è sinonimo soprattutto di famiglia Russotti, finché vanno d’accordo...
Hilton gestiva direttamente due alberghi, a Roma e a Milano.
Continua a gestire direttamente due alberghi: quello di Roma è diventato The Waldorf Astoria Cavalieri.
Si sta sviluppando in Italia in maniera assai interessante (con i marchi Hilton, Garden Inn e Double Tree) ma esclusivamente in franchising.
Fa storia a sé il Gruppo Orient Express, presente nei cinque continenti, che in Italia ha quattro splendidi alberghi di lusso tra Venezia, Firenze, Portofino e Ravello; mentre è in attesa una nuova destinazione in Sicilia, a Taormina.
L’altra grande compagnia internazionale, che si sta espandendo in Italia con grande rispetto del Genius Loci delle località dove si insedia e della professionalità di chi ci lavora, è la canadese Four Seasons, specializzata nella fascia del lusso autentico.
Milano era eccezionale, Firenze è un non plus ultra, mentre prirà a breve in Umbria e a Roma.
Four Seasons è garanzia di eccellenza sotto tutti i punti di vista.
Rappresenta un reale arricchimento architettonico e professionale per i territori dove si insedia.
Però per mantenere fede alle mie idee, il margine di miglioramento c’è, e si può far ancora di meglio; molto meglio assai tanto ed anche di più, che nella lingua italiana forse non "lo" si può dire, ma sicuramente "lo" si può fare.

Renato Andreoletti e qual cosina di mio.

giovedì 17 giugno 2010

C'è chi ci crede (Federalberghi?)





Sono abbastanza avanti con gli anni per credere ancora alla Befana o alle panzane del politichino di turno.
E scusatemi il termine “politichino”, non è di mio uso offendere nessuno né tantomeno è la mia intenzione, ma sono veramente stufo, come cittadino, d’essere preso in giro, per i fondelli un tanto al chilo o pagare due al prezzo di tre.
Sia ben chiaro, se ce ne fosse ancora bisogno, che non intendo "bombardare" la fazione politica da dove vengono emesse le “favole” (tanto son tutti uguali), né ascoltare le causali di chi è della corrente opposta; in Italia quello che dice una parte viene sempre catalogata come bischerata dall’altra e via dicendo… sempre a prescindere.
Quindi preferisco ragionare con la mia testa e al diavolo la destra, la sinistra e anche il centro di qua o quello di là.
Comunque mi riferisco all’intervento di Silvio Berlusconi in merito alla tassa di soggiorno per la città di Roma, che dichiara che questa tassa non dovrà essere "copiata" da nessun altro comune italiano.
Capisco che molti nella foga dei discorsi quotidiani, qualcosa devono pur inventare per riempire i minuti, ma che ne emettano in quantità industriale; beh, chi li ascolta, una volta tanto, dovrebbe intervenire e magari dire che la cosa non si può fare.
Invece niente, non sul momento e neanche dopo dei giorni; tutto tace e nessuno dice nulla, neanche l’opposizione oppure i giornali.
Ora è chiaro che se Roma può, di conseguenza anche Firenze, Venezia e vattelappesca possono; questo è normale, e non certo solo per me.
E’ anche facile che un Presidente del Consiglio conosca molto bene queste “cose”, perché un’eventuale ‘stop’ ai vattelappesca porterebbe di certo del nuovo lavoro alla Corte dei Conti.
E vai a dirglielo ai Sindaci di queste città, dopo i recenti “tagli” del Tremonti (obbligato, ma poteva fare di più a livello statale), che loro non possono mettere le stessa tassa turistica di Roma per rimpinguare le proprie casse comunali.
Se poi consideriamo che sia Firenze che Venezia, le due città italiane che hanno molti visitatori quasi al pari della città eterna, appartengono allo schieramento politico opposto; beh, che dire, sono quasi sicuro che lo faranno, anzi di certo.
Quello che mi stupisce, ma neanche poi troppo, è che dalla sala dei cinquecento o più di Federalberghi dove c’erano proprio tutti (anzi forse anche di più), non s’è levato niente, nessuno sé accorto, né tantomeno alcuno ha detto che la “cosa” non sarà poi proprio così, e che dovrebbero finirla di pensare che noi siamo scemi ... (vedi sopra).
Può anche essere che durante le convention, chi parla le "spara", mentre chi dovrebbe ascoltare, dorme o addirittura non capisce?
E poi ci chiediamo il perché il turismo in Italia va male o non troppo bene.
Che il Presidente abbia però pensato di fare prima un decreto o un de’ cretino per “permettere” questa bella tassa solo per Roma?
Ma non diciamo str…anezze.
Comincia però a balenarmi l'idea che siccome è impossibile credere che la tassa riguarderà solo la capitale, vuoi vedere che qualcuno, sotto sotto lo sa, ma fa finta di niente?

mercoledì 16 giugno 2010

Str ... anezze del turismo italiano (le catene alberghiere)

L’ignoranza è sempre stata la migliore alleata della speculazione, mentre la parziale professionalità dei “professoroni” nazionali, le università, gli enti, le associazioni, la politica assente, l’imprenditorialità alberghiera proveniente dal settore delle costruzioni che hanno interessi forti nel settore immobiliare, e che sono quindi imprenditori che vedono il business più nel “mattone” che nella gestione, hanno contribuito allo stallo attuale del turismo alberghiero e non solo.

Ad esempio cito fra i più significativi:
Atahotels (gruppo Ligresti), Starhotels (famiglia Fabri), Framon Hotels (famiglia Franza), AcquaMarcia (famiglia Caltagirone), eccetera, eccetera; tuttavia questo fenomeno è ancor più marcato in presenza di aziende di minori dimensioni.
Alcuni immobiliaristi, seppur con alterne fortune, hanno compiuto operazioni di grande visibilità legate ad alberghi storici.
Ne consegue che spesso la proprietà dell’immobile e della gestione coincidono e che dunque in molti casi il brand/insegna con cui viene gestito l’hotel è del proprietario.
Solo di recente si è fatta strada con più decisione tra i proprietari/gestori l’idea di affidare il loro immobile e la loro azienda ad un marchio internazionale, pur continuando a gestire direttamente, spesso in prima persona, assumendo ruoli chiave dell’azienda.
Questa situazione ha fortemente condizionato lo sviluppo del settore alberghiero italiano, che si presenta con caratteristiche di frammentazione e di ridotta presenza delle catene alberghiere, di scarsissima dimensione media delle singole unità.
Il risultato è quello che conosciamo.

Infatti, l’Italia, pur vantando il terzo patrimonio alberghiero del mondo (dopo USA e Giappone), non ha compagnie alberghiere italiane di livello internazionale, cioè che superino la quota di 100 unità operative; infatti la prima classificata nel ranking occupava solo il 120° posto; adesso credo che la prima sia addirittura oltre la 200esima posizione.
Le prime tre compagnie italiane non raggiungono la dimensione minima ( per n. camere ) della più piccola catena americana.
Inoltre la presenza delle catene in Italia copre solo il 6% sul totale delle strutture e questo naturalmente comporta delle problematiche non da poco che spiegherò la prossima volta.
Se poi ci mettiamo le leggi e leggine con i decreti e i de cretini, che una mano non la danno di certo, il gioco è fatto.
Ma spiego meglio il perché.

L’unità alberghiera, che sia indipendente o di catena, può essere gestita direttamente dalla proprietà dell’edificio o da un soggetto terzo (con contratto di affitto, di management, di franchising), che può essere un singolo imprenditore come una società alberghiera.
Il proprietario a sua volta può gestire l’albergo con il nome che preferisce oppure affiliarsi a una società di franchising che gli fornirà il logo del brand e il know how su come gestire e commercializzare l’albergo.
Può anche affiliarsi a una società o a un consorzio di commercializzazione: in quel caso il logo dell’albergo resta il suo.
Infine, l’albergo di catena assume il nome della catena o di uno dei brand della catena se la catena alberghiera è una società multimarchio.
Dopo la seconda guerra mondiale, quando il fenomeno turistico è diventato sempre più industriale sia nelle dimensioni che nella cultura della gestione, si sono affermati sostanzialmente due modelli: quello delle grandi catene nazionali e internazionali (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Spagna) e quello delle gestioni dirette (singole o di cluster): Italia, Svizzera, Austria, Germania.
Il Giappone, che possiede il secondo patrimonio alberghiero mondiale dopo quello degli Stati Uniti e prima di quello italiano, è a cavallo di queste due esperienze perché le catene alberghiere spartiscono il mercato con i ryokan, i piccoli alberghi della tradizione, assai diffusi, che fanno capo a proprietà e a gestioni polverizzate.
Il cluster alberghiero, cioè la gestione di più alberghi da parte della stessa società, si differenzia dalla catena sia per le dimensioni (non supera di norma le 10 unità) che per la diffusione: non supera i confini della propria regione.
La catena nazionale di conseguenza può anche essere relativamente piccola, dalla dozzina alla trentina di alberghi, ma deve avere una diffusione nazionale.
In Italia ci sono stati alcuni tentativi di creare grandi catene alberghiere nazionali: Gaetano Marzotto con la Jolly Hotels, fondata sul finire degli anni ‘40, ed Enrico Mattei con i Motelagip, fondati negli anni ’60.
Il primo, il Motelagip di Macerata, è appunto del 1960.
I Jolly Hotels arrivarono a quota 61 prima che l’esperienza incominciasse a scemare nella quantità fino ad assestarsi tra i 30 e i 40 (con alcuni alberghi all’estero in Francia, Inghilterra e Germania). Pochi anni fa, come ho scritto nel precedente post, la Jolly Hotels della famiglia Zanuso-Marzotto fu scalata in Borsa da una cordata formata dal Gruppo bancario Intesa Sanpaolo, uno dei maggiori in Italia, e dalla spagnola NH Hoteles, che li ha incorporati nel proprio portafoglio assieme ai Framon Hotels, catena alberghiera di origine siciliana, fondata dalla famiglia Franza, che possedeva prestigiosi alberghi in Sicilia, a Firenze, Roma, Milano e Venezia.
NH Hoteles allo stato attuale risulta la maggiore compagnia alberghiera in Italia con oltre 50 alberghi e 8.000 camere.
Nel mondo, NH Hoteles gestisce 349 alberghi con più di 52.793 camere in 22 Paesi di Europa, America e Africa.
Semi, la compagnia che possedeva i Motelagip, arrivata sull’orlo della bancarotta, a inizio anni ‘90 fu spartita affidando gli alberghi più interessanti o con le location più promettenti all’inglese Trusthouse Forte di Sir Charles Forte, che dette vita alla Forte Agip International.
Trusthouse Forte, una delle maggiori catene alberghiere del mondo con oltre 800 alberghi, fu a sua volta scalata in Borsa da Granada, società televisiva inglese, che dopo aver acquistato l’intero portafoglio ne disperse gli alberghi collocati all’estero o non focalizzati sul settore Business.
Sette Forte Agip International italiani finirono nel portafoglio di Alliance Alberghi, società di gestione alberghiera che continua ad amministrarli in franchising con i marchi Holiday Inn e Crowne Plaza.
Metha Italia è stata un’altra società italiana nata per gestire alberghi con marchi in franchising.
Gestisce 19 alberghi con i marchi Courtyard, Holiday Inn, Express by Holiday Inn.
Fuori Italia gestisce un albergo a Lugano e uno a Parigi.
Altre compagnie alberghiere italiane di dimensioni nazionali sono la torinese THI, la padovana Boscolo (che gestisce alberghi anche a Nizza, Lione, Praga e Budapest), l’italoinglese Rocco Forte Collection (gestisce alberghi anche a Bruxelles, Ginevra, Praga, Francoforte, Monaco di Baviera, Berlino, Edinburgo, Manchester, Londra, San Pietroburgo), la fiorentina Starhotels (possiede lo Starhotels Michelangelo a New York), la parmense Myhotels, la milanese Domina Hotels (ha alberghi anche a Rotterdam, Bad Kreuznach, Riga, Tallinn, Kaliningrad, San Pietroburgo, Budapest, Tyumen, Novosibirsk, Tomsk, Sharm el Sheikh, Hurgada, Aqaba, Luxor), la fiorentina Sina Hotels del presidente di Federalberghi Bernabò Bocca, la milanese Atahotels della famiglia Ligresti.
Altre compagnie alberghiere stanno cercando di crescere su scala nazionale: Eleganzia (Forte Village e La Maddalena Hotel & Yacht Club in Sardegna, Castel Monastero in Toscana: fa capo tra gli altri a Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, che è già albergatrice con alberghi in Veneto e in Puglia) ed Exclusive Hotels (della famiglia Iannotta) nel settore lusso, Ora Hotels, Mobygest.
Altre compagnie alberghiere nazionali come Blu Hotels fanno capo a tour operators specializzati nei villaggi vacanze.
Molte compagnie alberghiere internazionali hanno cercato di espandersi in Italia con relativo successo, da InterContinental Group (con i marchi InterContinental, Holiday Inn, Express by Holiday Inn, Crowne Plaza) a Hilton (The Waldor Astoria, Hilton, Garden Inn, Double Tree), Marriott (Marriott, Courtyard), Accor (Sofitel, Novotel, Ibis, Mercure), Starwood (Sheraton, St. Regis, Westin, Four Points, Meridien).
Il risultato?
Meno del 6 per cento dei 33.000 alberghi italiani fa capo a compagnie alberghiere nazionali e internazionali, percentuale che sale considerevolmente se si valutano solo gli alberghi di categoria 4 e 5 stelle, mentre la città italiana più internazionale, anche dal punto di vista della presenza dei marchi alberghieri, è Milano.
Voi direte “che cosa c’entra tutto questo?”.

Bene, personalmente vi dico che c’entra, eccome se c’entra, soprattutto nel settore che mi compete; la qualità e la logistica.
Continua …

lunedì 14 giugno 2010

Intesa SanPaolo e il turismo






E’ inutile che ci rigiriamo i pollici o c’inventiamo la luna nel pozzo anche quando è nuvolo; i prossimi 10 anni saranno decisivi per lo sviluppo del nostro sistema turistico.
E nonostante “alcuni” facciano di tutto o il loro possibile per danneggiarci, l’Italia è e rimarrà uno dei principali Paesi turistici del mondo.
Però il più grande problema è: manterrà le sue attuali quote di mercato, e magari migliorandole?
I programmi, quelli che non sono dati a sapere o incomprensibili a molti, sono abbastanza buoni, ma c’è sempre un dubbio, un bel grosso dubbio che vi spiegherò nei prossimi giorni.
Prima aspetto conferme e comunque…
Comunque e "forse" Banca Intesa San Paolo punta a una rapida industrializzazione del nostro prodotto turistico attraverso una regolarizzazione del settore, vale a dire con una sostanziale riduzione della presenza degli albergatori privati a vantaggio delle catene alberghiere, NH Hoteles in primis.
E questo era già nell’aria.
Ma chi è NH Hoteles?
Pochi anni fa la Jolly Hotels di proprietà della famiglia Zanuso/Marzotto, fu scalata in Borsa da una cordata formata dal Gruppo bancario Intesa San Paolo, uno dei maggiori in Italia, e dalla spagnola NH Hoteles, che li ha incorporati nel proprio portafoglio assieme ai Framon Hotels, catena alberghiera di origine siciliana, fondata dalla famiglia Franza proprietaria dei prestigiosi alberghi in Sicilia, Firenze, Roma, Milano e Venezia.
NH Hoteles allo stato attuale risulta la maggiore compagnia alberghiera in Italia con oltre 50 alberghi e 8000 camere, mentre nel mondo, gestisce 349 alberghi con più di 52.793 camere in 22 Paesi di Europa, America e Africa.
Quindi una catena alberghiera con dimensioni industriali, vale a dire con decine di centinaia di alberghi segmentati dal low cost al lusso, e che dovrebbe favorire l’abbattimento dei costi e quindi anche dei prezzi.
Diciamo un po’ come è accaduto nell’industria manifatturiera tradizionale.
Naturalmente i sindacati sono favorevoli poiché hanno sempre guardato con malcelata diffidenza un settore assai poco sindacalizzato per via dei troppi gestori diretti, e della troppa polverizzazione aziendale.
BIIS, Banca Intesa e Infrastrutture controllata da Intesa San Paolo, ha valutato in 150 miliardi di euro l’investimento che cambierà il nostro settore nei prossimi 5 anni, e i banchieri non hanno di certo perso tempo; il business c’è ed è anche buono.
Trentino-Alto Adige ed Emilia Romagna non la pensano nello stesso modo.
Mentre i banchieri gonfiavano la bolla speculativa immobiliare (e i derivati finanziari) che ha rischiato di travolgere l’intera economia mondiale, italiani, ladini e asburgici del Nord Est e i pimpanti romagnoli della costa adriatica hanno messo mano al portafoglio e hanno incominciato a ristrutturare o a edificare ex novo splendidi alberghi belli dal punto di vista architettonico, splendidamente condotti da famiglie profondamente radicate nel loro territorio, arricchiti dei servizi che oggi fanno la differenza, dalle Spa alla ristorazione a chilometro zero, dialogando con il territorio e le amministrazioni locali per migliorare e abbellire le destinazioni turistiche.
Hanno avuto successo perché hanno affrontato il nodo centrale del problema: certificare e garantire la qualità delle strutture e del servizio.
Anche se credo che la qualità si possa sempre migliorare e i margini siano ancora alquanto ampi.
Regioni, Province, Comuni da un lato, imprenditori locali e nazionali dall’altro saranno vincenti se abbelliranno e puliranno i loro territori, se realizzeranno o ristruttureranno gli alberghi secondi i criteri dell’abbattimento dei consumi energetici, dell’impatto architettonico, e finalmente della valorizzazione professionale delle Risorse Umane.
Ma su quest’ultima cosa ho ancora molti e seri dubbi, anzi certezze; perchè quello che vedo in giro ...beh, si può far di meglio.
Gli altri?
Gli altri staranno ancora a guardare la luna nel pozzo ... anche se fuori piove.
Mentre tutto il resto sono solo chiacchiere… e politica.

domenica 13 giugno 2010

Le due cose infinite: universo e stupidità

Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana. Della prima non sono sicuro
(Albert Einstein)


Dell’universo non ho molto da dire e ne ignoro la gran parte, mentre quelle poche conoscenze che ho sono limitate allo studio scolastico o poco più, per altro dovute alla semplice curiosità.
Mentre della stupidità umana, da quando sono rientrato in Italia e per il settore che più conosco, beh, potrei tranquillamente scrivere dei saggi, anche se la lingua italiana non è proprio il mio forte.
Scusatemi l’arrogo, ma nel turismo del Bel Paese è proprio così; alla stupidità non puoi mai mettere la parola “fine”.
Ma vediamo cos’è.
Originariamente il termine "stupidità" ha due accezioni distinte: una vede una condizione d'incapacità o insensibilità, indotta da meraviglia, sorpresa; l'altra una condizione duratura, come dire un handicap.
Generalmente "stupidità" indica "incapacità" e "carenza", sul piano materiale e su quello morale.
Alcuni definiscono lo stupido come "una persona che causa un danno ad un'altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita".
Ma quest’ultima cosa non rientra di certo nel caso politico italiano … poiché da quello che quotidianamente si sente o si legge, non credo che qualcuno perda qualcosa; anzi.
Mentre l'inetto descritto da Italo Svevo è un tipico esempio di "stupido" che di fronte al bivio non saprà mai che direzione imboccare.
C’è poi lo stupido più stupido, e vale a dire quello/a che imbocca sempre la strada sbagliata.
E questi sono i più pericolosi nonché i più presenti sul nostro territorio per questo settore.
Non si spiegherebbe altrimenti la situazione attuale del turismo, che alle eterne belle parole, risponde sempre coi brutti fatti.
Per l’appunto ci sarebbe da riportare innumerevoli considerazioni in merito al “beneficio” del loro lavoro e di chi si è insediato in questo delicatissimo dicastero.
Tutti bravi, fruttiferi e con l’anno seguente sempre migliore del precedente, mentre il tutto naturalmente coadiuvato e ripetuto dai collaboratori o “professoroni” vari delle molteplici e forse inefficaci associazioni, enti, università e quant’altro.
Parlano, parlano, parlano, ammoniscono, si esaltano ed elencano parziali dati positivi, ma quel che è peggio, a tal punto ricco di entusiastiche dichiarazioni o strane statistiche con il segno più ad inizio stagione, che inspiegabilmente, si tramutano in segno meno alla resa dei conti.
Però c’è il loro ottimismo; la gente chiude e perde il lavoro e loro (?) … e loro dicono che bisogna essere ottimisti, perdiana; a che serve il contrario?
Però senza dimenticare “l’aiuto” di molti degli operatori nazionali, che con le loro improfessionalità ci rendono “famosi” nel mondo.
Ma guai a dirglielo o farglielo capire; ti si rivolterebbero contro come cani rabbiosi.
Inutile dire che non si è MAI verificato nulla di quanto da "loro" detto, e che alla fin fine, il segno meno ha fatto capolino sempre ed ovunque.
Mentre gli unici casi che riportano il segno più si sono ottenuti nella perdita di dipendenti del settore (ben oltre i 100.000 in un anno o poco più); nell’allontanamento dei clienti o turisti; più perdita all’indotto e altrettanto con gli “sghei” nelle casse erariali.
Proprio un gran bell’affare.
Comunque questi sono gli ultimi dati, poi fate voi.
Gli alberghi italiani, intanto hanno chiuso il 2009 con una perdita di presenze del 4,5% rispetto all'anno precedente (11 milioni di pernottamenti in meno).
Il fatturato è sceso dell'11% (nel 2008 era stato di oltre 8,6 miliardi) e si è registrata una flessione del 12,9% per il saldo attivo della bilancia turistica (differenza tra la spesa dei turisti stranieri nel nostro Paese e quella degli italiani all'estero) a quota 8,8 miliardi (erano 10,1 nel 2008).

E sono cifre veramente pesanti.
Personalmente sono convinto che senza l’ottimismo non si va da nessuna parte e che di pessimisti produttivi non se ne sono mai visti, ma basare il turismo solo o molto su queste due considerazioni, credo rientri più nella stupidità che nel rendimento.
Sono altresì convinto che si debba cambiare qualcosa perché non si può andare avanti così, e sarebbe vano dire che, visto il nostro immenso potenziale, si dovrebbe fare meglio, molto ma molto di meglio.

venerdì 11 giugno 2010

Balle, e non di fieno !






Si era a Luglio del 2008, quasi due anni fa e ….
presto il governo italiano ridurrà l’Iva sul turismo.
Ad annunciarlo è il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi durante un incontro con Matteo Marzotto, futuro presidente Enit.
Il Premier ha sottolineato l’importanza del comparto turistico italiano e come la riduzione dell’Iva alle imprese turistiche porterebbe una boccata d’ossigeno ad un settore in difficoltà.
Molta, infatti, è la concorrenza degli altri Paesi, soprattutto della Spagna dove gli alberghi sono pieni il doppio di quelli italiani.
L’annuncio di Berlusconi è stato ben accolto dalle diverse categorie interessate, anche perché il Capo del Governo ha dichiarato che la riduzione dell’Iva si inserisce in un piano più ampio per rilanciare il turismo italiano.
E unitamente a queste parole, che abbiamo sentito spesso anche dall’altra “autorevole” fonte del dicastero turistico, la Brambilla per intenderci, non è arrivato nulla che ne attestasse la veridicità della promessa.
Niente, non è andata proprio così, anzi sono in sentore nuove tasse turistiche.
Questo nonostante le periodiche rivelazioni propagandistiche della Michela sul fatto che il loro sia il governo del fare e che l’ha portata ad annunciare: “Mi date sempre molti compiti - ha detto agli imprenditori turistici - ma, come avete visto, io prendo appunti e torno con i compiti fatti.”
Che sia meglio che se ne torni a scuola visto che lo svolgimento non è andato proprio così?
E quel raddoppio dell’incidenza del Pil turistico dal 10 al 20%, che fine ha fatto?
Attendo bugie.

Genova?







Ieri ho riportato un articolo di Genova del buon Jeremy W. Peters, che è apparso non troppo tempo fa sul New York Times
E che oltre a conoscere abbastanza bene la mia città, ha saputo descriverla come meglio non si può, mentre lo stesso Il Secolo XIX, il quotidiano che qui va per la maggiore, ha descritto con altrettanta sagacia quello che umilmente cercherò di unire con la mia esperienza sviluppata in più di 30anni in giro per il mondo.
Quanto andrò a scrivere non rappresenta solo la considerazione che negli USA si ha della città dove vivo, ma quella dell’intero globo.
E vale a dire, ben poca cosa.
A dimostrazione che, nel qual caso ce ne fosse ancora bisogno, chi si è alternato politicamente e anche industrialmente nei “secoli” a cercare di promuoverla, non ha saputo fare granché, oltre le solite compiacenti parole per se stessi.
Comunque … negli Stati Uniti ci sono molte “Genoa”, ma quella italiana è praticamente sconosciuta.
Io stesso, quando ci lavoravo e mi veniva richiesta la città di provenienza, dovevo elencarla come vicino a Portofino, S. Margherita, Rapallo o SanRemo, poiché nessuno la conosceva pur avendo dato i natali a Cristoforo Colombo, che come si sa, ha appunto scoperto l’America.
Il giornalista del quotidiano newyorkese si è dilungato molto di più sulle delizie culinarie genovesi che sul patrimonio artistico culturale della città.
Anche perché le cose belle che abbiamo non sono particolarmente ben curate, anzi; quindi non ci resta che il cibo.
Sempre che la politica locale non si voglia intromettere anche in questo settore e … vabbè, avete capito che nel caso non sarebbe di certo, un gran successo.
Genova, come detto, nonostante la parentesi di notorietà sul famoso quotidiano americano, è ben lungi dall’essere considerata una meta turistica in quel Paese, anzi, non solo non è presa in considerazione, è proprio ignorata.
Quindi la domanda non è tanto “perché Genova?” come scriveva il giornalista, ma più semplicemente “Genova?”.
Alcuni americani potrebbero chiedervi “Quale Genova?”, infatti spulciando sulla cartina e sul web si scopre che negli States esistono anche Town of Genoa in Nevada, City of Genoa nell’Illinois, Village of Genoa nell’Ohio, una Genoa fondata dai mormoni nel 1857 nel Nebraska e molte altre sparse un po’ qui e un po’ là; ma tra i tour operator locali, nulla, nisba, non ne sanno niente o poco più.
Ma la più “famosa” Genoa è nel Colorado, una cittadina di 200 anime circa costruita dall’ingegnere e imprenditore Charles W. Gregory che fede edificare una torre alta 20 metri da cui si sarebbero dovuti vedere ben 6 Stati americani.
Una trappola che però l’intraprendente ingegnere seppe promuovere anche molto bene, dal momento che ai suoi piedi costruì una stazione di servizio in cui era possibile mangiare, e s’inventò il motto “Eat, drink, gas and pop the Tower”, che vuole dire “mangia, bevi, fai benzina e sali sulla torre”.
Modello di comunicazione rude ma magari efficace; sicuramente meglio di quelli usati dai “nostri” professionisti locali del marketing.
Lo stesso Italian Government Tourist Office, l’ufficio del turismo italiano che si trova nella 5° strada a New York, risponde che nessuno chiede mai di Genova, al massimo qualcosa sulla Riviera (Liguria).
A Parigi poi, i depliants del capoluogo ligure sono datati ad alcuni anni fa (circa 6/7), ma dall'Enit nessuno se ne interessa, né tantomeno dai vari assessorati liguri preposti al turismo; loro li mandano e poi se ne fregano.
Mentre nel resto del pianeta il carrozzone (Enit) va ...
Bel colpo, e mi richiedo il come facevano quei “galantuomini” che avrebbero e devono pubblicizzarla nel mondo, a dire che tutto andava e va bene; ma questa è un’altra storia.
Preso dallo sconforto mi rivolgo al vox populi del web.
E qui all'improvviso, tra il tam tam dei turisti sulla Rete, mi becco qualche soddisfazione.
“Sweeteacher”, una dolce maestrina del Michigan, la descrive come uno dei segreti meglio conservati in Europa.
E non dico certamente l’opposto.
La maestra è innamorata di Via Garibeldi, del suo ciotolame piena di musicanti di strada e negozietti.
In texas, un certo Tetech di Dallas, descrive come molto interessanti gli affreschi della Cattedrale di S. Lorenzo, mentre AnninPittsbourgh narra d’essere capitata per sbaglio a Genova; dopo che una brutta giornata di pioggia le aveva impedito una gita prevista a Portofino e racconta d’esserne rimasta estasiata.
E che dire dei colleghi che mi vengono a trovare di passaggio in Italia?
Capita infatti spesso che programmandola solo come una meta di passaggio, decidano poi di fermarsi anche più giorni per non perdere nulla ... Genova è una donna bellissima, ma che però non sa vestirsi e cammina male.
E credo che Genova debba essere considerata più che l’alternativa ad una brutta giornata di pioggia.
Genova ha anche ben più che una semplice pompa di benzina o di una torre solitaria da offrire, ma questo bisognerebbe dirlo ai nostri “comandanti”, a quelli che sanno tutto e quel che sanno, lo fanno anche bene … però lo dicono loro.
E pensare che basterebbe ben poco per … ma anche questa è un’altra storia.

giovedì 10 giugno 2010

Suggerimenti per www.italia.it (come si descrive una città)

36 hours in Genoa, Italy ... but more time is better, believe in me.
TELL people you’re planning to spend part of your Italian vacation in Genoa, and you’ll most likely get an incredulous “Why?” Until a few years ago, Genoa was far more grit than glamour — a way station to more fabulous places like Cinque Terre. And its industrial port was among the more forgettable spots along the Italian Riviera. But a complete scrub-down and restoration of its once seedy waterfront, combined with an influx of young, well-funded entrepreneurs, has made Genoa a city bustling with cosmopolitan wine bars and restaurants. Sure, you won’t confuse Genoa with Milan, but it doesn’t want you to.
Friday
6 p.m.
1) NOT SO SQUARE
For a sense of how Genoa teems with unpretentious night life, head to Piazza delle Erbe. A small square hidden amid the labyrinthine alleys that snake through the city’s medieval quarter, it is home to no fewer than a half-dozen bars, two restaurants, a pizzeria and a gelateria. Tables from the nearby establishments spill out onto the square, providing prime real estate for gazing at the hipper-than-thou young crowd, which might just give you a look that says, “Don’t spoil this for us, tourist.” Forgo a glass of wine (you’ll probably have plenty in Genoa before you leave) and stop in Bar Berto (Piazza delle Erbe 6R), which brews its own beer (5 euros, about $6, at $1.21 to the euro).
9 p.m.
2) SHOWROOM DINING
Anyone who thinks Genoa is still a grimy port town hasn’t set foot inside Mua (Via San Sebastiano 13). It is a place where Genoa’s beautiful people gather, with décor taken straight from some chic Italian design store: walls awash in gleaming white, high-backed brown leather chairs, tables propped up by thin stem-like legs. The menu has Ligurian specialties like scallops brushed with bread crumbs and olive oil (10 euros). For a pasta course, try the testaroli, a kind of local pasta with a soft, chewy texture more like a crepe than a noodle (18 euros), in a cheese sauce. Barely open a year and a half, Mua has established itself as one of the city’s finest restaurants.
11 p.m.
3) DIGESTIF
For late evening, discos can certainly be found, but you are better off parking yourself at La Lepre (Piazza Lepre 5R), a cozy bar with soothing green walls, and ordering an after-dinner grappa. It’s a bit hard to find (the tiny square is not on many maps), but that only adds to the appeal.
Saturday
10 a.m.
4) HARBOR WALK
With a little help from Renzo Piano, native son and star architect, the wharfs along Genoa’s old port, known as the Porto Antico, have been transformed into bustling, palm-lined promenades full of cafes, restaurants and a biosphere suspended over the water. There’s also an aquarium that bills itself as one of Europe’s largest, but it can get mobbed. Instead, head to the Galata Museo del Mare (Calata De Mari www.galatamuseodelmare.it), a maritime museum with strategic views. Grab an espresso at the Galata Cafe and head to the roof, which overlooks the waterfront and the city. Small viewfinders identify the city’s major attractions, helping you plot out your day.
11 a.m.
5) (VERY) OLD TOWN
Parts of Genoa’s old city still look and feel like the Middle Ages. The cobblestone alleyways are so narrow that you can stretch out your arms and touch buildings on either side of the street. Spend some time getting lost — it’s easy to do — though you don’t want to miss the San Lorenzo Cathedral (Piazza San Lorenzo), which dates back to the ninth century, in the heart of the old city. Its distinctive zebra-striped facade is one of the city’s most recognizable landmarks, repeated on buildings throughout the city. San Lorenzo’s smaller architectural twin, the Church of San Matteo (Piazza San Matteo), is a short walk away and has an ornate marble crypt, where the explorer Andrea Doria is entombed.
1 p.m.
6) LITTLEST SANDWICH SHOP
Blink and you might miss Gran Ristoro (Via Sottoripa 27 R), a tiny closet of a sandwich shop just off the harbor. It is so small, in fact, that you would walk right past it if not for the line of Genoese of all stripes — cops, students, dock workers — extending out the door. The printed menu is minimal; there’s just no way to list that much meat. Just ask for a toasted sandwich, served on a soft, fresh roll with your choice of one of the dozens of meats — prosciutto, capicola, pancetta, spianata — hanging in the window. At 2.40 euros, you won’t find a more satisfying lunch bargain.
3 p.m.
7) DESIGN AND DIOR
Shopping in higher-end design stores here can feel more like going to a museum than browsing for housewares. Via Garibaldi 12 (Via Garibaldi 12 viagaribaldi12.com) is no exception. Housed in a loftlike space in an old palace that could very well be a museum on a street lined with them, the store’s showroom is filled with items both practical, like Artemide desk lamps (from 250 euros), and impractical, like a giant red upholstered chair for 36,000 euros. More design products can be found at Compagnia Unica (Via San Vincenzo 102/104 R; 39-010-54-3459; compagniaunica.com), which carries Dior for your closet and Norman Copenhagen for your kitchen.
7 p.m.
8) SALUMI E VINO
Wine bars are not difficult to stumble across in Genoa. But a place that is guaranteed to whet your palate with a wide variety of whites, reds and a heaping plate of salami and cheese is Taggiou (Vico Superiore del Ferro taggiou.it). If there are no seats inside the intimate, brick-ceilinged dining room, you can stand outside over one of the wine barrels that double as patio furniture. A glass of wine and the plate is 7 euros.
9 p.m.
9) CARNIVORE’S PARADISE
Fresh fish is a staple in Genoa. But for something a little more carnal, try Maxela (Vico Inferiore del Ferro 9 maxela.it), a steakhouse so proud to be beef-only that its meat locker opens onto the main dining room, and cooks can be seen (and heard) hammering away as they tenderize cuts of beef. Favorites include the beef heifer tagliata (15 euros), served with a variety of sauces like balsamic vinegar-caramelized pear and rosemary-garlic. For a first course, don’t skip the handmade gnocchi with pesto (9 euros). It is so soft, practically no chewing is required. And you can’t leave Genoa without having pesto. As you will undoubtedly hear many times over from proud Genoese, it is said to have been invented here.
Sunday
9 a.m.
10) LIGHT BREAKFAST
Genoese aren’t big on brunch. So forget about having eggs and go instead to Tagliafico (Via Galata, 31 R), one of the city’s best pasticcerias. Its display cases are meticulously arranged, showing off perfectly crafted homemade croissants, bignés (cream puffs) and chocolates as if they were precious jewels. An espresso and a couple of pastries cost around 5 euros.
11 a.m.
11) FRESCOES AND GELATO
Via Garibaldi is lined with old palaces that have been converted into museums and granted protective status by the United Nations. Palazzo Rosso (Via Garibaldi 18 www.museopalazzorosso.it) offers something the others don’t have. It has opened its curator’s apartment, an architectural gem designed by Franco Albini, to the public. Its steel spiral staircase and minimalist design seem a world apart from the frescoed ballrooms and gilded halls downstairs. After your tour, make sure to stop into Profumo di Rosa (Via Cairoli 13A/R), a new gelateria that serves generous scoops of fruity and creamy gelati. Rosa, the proprietor, is the kind of energetic young entrepreneur who wears her Genoese pride on her sleeve.
IF YOU GO
Delta and United are among the airlines that fly to Genoa from New York with a connecting flight usually in Europe. According to a recent search, fares started at about $1,300 for travel in June. Genoa is small enough that you can walk pretty much anywhere in the city center. And when your feet get tired, it’s easy to hail a cab.
...but more time is better, believe in me.
By JEREMY W. PETERS (New York Times)

Oh forgot, here was born Cristoforo Colombo

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