giovedì 24 aprile 2014

La prima cosa da fare, se si vuole salvare davvero il turismo, è ...

Sono davvero incazzato.
Ma va?

Vabbeh dai, non è vero.
Faccio tanto per dire, ma anche scherzando non riesco a comprendere come Dario Franceschini, il ministro del Turismo e della Cultura, possa tranquillamente dichiarare di voler costituire un “laboratorio digitale” e farci entrare le menti nazionali migliori, però senza pagarle.
Le migliori menti a gratis?

In poche parole chi dispone di ottime idee dovrebbe regalargliele a costo zero.
Ma dai.

E questo col pericolo che poi, i lor signori che se ne appropriano, ecco che quando le danno gambe preferiscono non utilizzare chi invero se l'è studiate o quelli che hanno avuto il classico colpo di genio, col solo risultato che il tutto diventa di conseguenza un bel pastrocchio.
Cose mai viste e ma che logica c'è?
Chi vuoi che si metta a “regalare” le proprie idee se non quelli che le hanno copincollate da qualche parte sul web e gliel'hanno poi trapassate?

Ma avete ben presente la mandria di “copincollatori” indefessi (inde?) che s'aggirano su internet?
E quanto pochi siano quelli che veramente hanno qualche fantastica innovazione mai esaminata o dispongano delle cure giuste per il moribondo turismo italiano?
Cure rimaste inascoltate perché … ecchennesò! … forse perché bisogna “premiare” sempre gli stessi incapaci che da qualche decennio ci marciano alla grande col loro bla bla bla e che fanno capolino un po' da tutte le parti per distribuire le loro perle di grande saggezza ... che manco li cani ...
Beh, basta vedere i risultati turistici dell'ultimo ventennio per farsene una semplice ragione, no?

Ma faccio un esempio, anzi due, che oltretutto sono anche a noi vicini, giusto per far capire che …

Pere Duran, che personalmente considero un genio di questo comparto, per chi non lo sapesse è il DG di Barcelona Tourisme dal '92 (chi l'ha messo lì ha fatto la sua fortuna e quella dell'indotto intero), e a quanto ne so è pagato molto bene, ma la sua dote più grande, che poi corrisponde a chi sa per davvero produrre del benessere, s'è circondato di grandissimi professionisti che a loro volta sono pagati il giusto.
Nessuna scelta tra gli amici degli amici e compagnia bella.
Più producono, più sono retribuiti … e si vede a occhio nudo!

Memore di questo, la Rita Barberà, che l'è il Sindaco di Valencia, non ha fatto altro che inserire José Gisbert (un fenomeno) che è il DG del Consorzio di quella città, il quale a sua volta ha chiamato Michel Hodara, altro genio, ponendolo alla guida di professionisti altamente specializzati nei campi della televisione, ospitalità, intrattenimento e media, dove hanno instaurato un rapporto con i politici di turno che ha qualcosa di innaturale per noi; nessuno comanda, vanno d’accordo e tutti parlano la stessa lingua.
Stessa lingua intesa, non come idioma ma come professionalità.
In scarne parole: poche balle e camminare.
Il risultato?
Due America's Cup e il Gran Premio di Formula 1 … e se vi sembra poco …

E seppur sto parlando di “semplici” città, la cosa si può tranquillamente rispecchiare anche in più grandi realtà come ad esempio un'intera nazione.


No, da noi non li si vuole pagare.
Eppure, a dispetto di cotante cifre che giornalmente se ne vanno per la tangente in una miriade di ridicoli rivoli, la progettazione professionale non viene quasi mai pagata, configurandosi il più delle volte come disinteressato e gratuito anticipo su eventuali future realizzazioni: «quattro righe buttate giù per amicizia», «senza impegno», per citare una ricorrente formula pre e paracontrattuale, immancabilmente seguita dalla clausola di stile: «Poi, se si farà, ci metteremo d'accordo».

Senza scherzare oltre, è doveroso riconoscere che tale abitudine non trova corrispondenza nei Paesi più civili, dove la progettazione professionale è considerata una fase cruciale, il fattore critico del successo di qualsivoglia iniziativa culturale e turistica, cui dedicare il giusto tempo e riconoscere un idoneo compenso, con stanziamenti di budget che sull'italico suolo non vengono riservati nemmeno a talune fasi realizzative.

Chiedete a un curatore straniero dei mali altrui un progetto qualsiasi o all'ideatore dello sviluppo di uno spin-off : di norma non lo fanno gratis, ma esigono la giusta remunerazione del tempo dedicato e il riconoscimento del loro ruolo.
Perché l'economia della conoscenza è diversa da quella della riconoscenza.
Le idee (quelle buone) servono e si devono pagare, perché le competenze hanno un valore economico, perché una cattiva progettazione è vittima di pessime gestioni, perché l'improvvisazione degli stolti è figlia di copicollatori indefessi che l'hanno “rubata” a qualcuno ma non la sanno portare avanti nella giusta e dovuta maniera.

A differenza che in altri paesi, in Italia la fase progettuale è raramente remunerata.
Eppure è lì che si concentra il valore aggiunto in termini di innovazione”:le idee si pagano, scriveva Guido Guerzoni sul Sole 24 Ore.
Dovrebbe essere ovvio ma non lo è per niente e a nessuno, a partire dalle pubbliche amministrazioni.
Paradossalmente, trent’anni fa lo era di più.

Non stupisca il riferimento ludico: è opinione diffusa che la produzione d'idee non richieda grandi sforzi, essendo il frutto di generazioni pressoché spontanee, talora fonte di piacere, come accade quando si parla di creazione, disseminazione e crossfertilization che se poi è abbinata ad una grande esperienza, ecco che il botto è bello che fatto.

È risaputo, infatti, che nelle menti dei creativi le idee si formino per caso (e ancor di più in quelli che una data professione la conoscono a menadito), tra una sigaretta e un caffè, uno spritz e una chiacchiera, un pisolino e un filarino, un happy hour e un weekend, addensandosi in nuvole progettuali i cui piovaschi precipitano sui desktop Apple con la stessa naturalezza con cui a Woolsthorpe Manor le mele si frangevano sul cranio di Isacco Newton.

Ma se qualcuno gode e, colpa inescusabile, si diverte pure, come nel mio caso, lo si dovrà pagare.
Il Turismo è una vocazione (per eredi e rentier).

E il problema riguarda anche chi scrive, così tanto per dire, neh!


P. S.: E allora che facciano una grande squadra di veri "fortissimi" che poi tutto il resto viene da se anche perché ... chi può raccontargliela quella dell'uva ad una vera squadra di "fortissimi"? 









4 commenti:

  1. Leggendo con una certa attenzione, ad es. QUI, i reali compiti del laboratorio sul turismo digitale si capisce che, più che di "laboratorio", si tratterebbe di "osservatorio" i cui "esperti", una volta l'anno, gratuitamente, dovrebbero produrre un documento di indirizzo strategico; per un comitato che, con ogni probabilità, non sarebbe nemmeno in grado di comprenderne i contenuti, vista la composizione.
    Il laboratorio è, di fatto, la riproposizione, sotto altra denominazione, del brambillesco comitato per l'innovazione nel turismo che, come noto, produsse un bellissimo e perfettamente inutile documento di buoni propositi prontamente archiviato.
    Compiti operativi effettivi del laboratorio: zero.zero.
    Solo che se Franceschini l'avesse chiamato "osservatorio" o "comitato" si sarebbe capito subito dove andava a parare.
    Così invece ha potuto raccogliere gli applausi trentini degli entusiasti degli annunci della supercazzola.
    Contenti loro... ;-)

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  2. @Luciano
    Non so se hai notato QUI, come, nel frattempo, ENIT si sia prontamente accodata a questa ennesima idiozia web-pseudo-social del #selfie. No comment.

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  3. @Frap

    E se ricordi bene oltre a quelli dei presenti trentini, nel web ne raccolse pure di molti altri.

    Oh mamma mia



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